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 Io, prete Harry Potter, con la magia ho stregato il Papa
Oggi   Mercoledì, 03 Aprile 2002 00:00
 
Roma, marzo « I1 30 gennaio sono stato ricevuto dal Papa e gli ho chiesto di nominare San Giovanni Bosco patrono dei prestigiatori e dei giocolieri.. un mese di distanza, ho avuto la grande gioia di apprendere da una lettera della Santa Sede che il mio desiderio è stato esaudito. Don Bosco, fondatore dell'ordine religioso cui appartengo, merita questo riconoscimento: una sorta di compensazione alla mancata candidatura come patrono del cinema, di cui si parlò molto ma che non si concretizzò. Per divertire i "suoi" ragazzi don Bosco si improvvisava saltimbanco e predicava l'esercizio della religione in letizia. Le sue teorie, all'epoca rivoluzionarie, gli guadagnarono persecuzioni e persino il rischio di finire in manicomio. Se, perciò, qualcuno mi giudica un po' matto perché faccio il prestigiatore non me la prendo: mi rassegno a essere surclassato dai santi, al cui confronto noi maghi possiamo ben poco, perché i miracoli noi non sappiamo farli». Chi parla, con un pizzico di autoironia che serve a sdrammatizzare il suo insolito ruolo, è don Silvio Mantelli, presidente della fondazione Mago Sales: con questo nome, si esibisce in tutto il mondo come prestigiatore e giocoliere raccogliendo i fondi per aiutare i bambini dei Paesi sottosviluppati. «Seguo umilmente le orme di San Giovanni Bosco e, il giorno in cui la sua nomina a patrono verrà ufficializzata, ne sarò felicissimo e continuerò con ancora maggiore entusiasmo la mia attività. Ho in programma per questo mese 25 spettacoli in Palestina e ci andrò, nonostante i pericoli. Non resisto al bisgno impellente di ritrovarmi tra tanti bambini sofferenti e ricevere il dono di un loro sorriso. Inoltre, lo ammetto, a stare in scena mi diverto moltissimo. Per gli spettacoli indosso un mantello svolazzante e non dimentico mai il cappello, strumento essenziale per un buon prestigiatore. «La mia passione risale all'infanzia quando, nel mio paese natale, Novello, in Piemonte, istruito da mio nonno che faceva l'orchestrale e da un amico di famiglia aspirante mago, imparai i primi giochi di prestigio con le carte e le monete. Già da allora ero abile di mano e riuscivo a farle sparire e ricomparire sotto gli occhi ammirati dei presenti, ricevendo come premio una consumazione al bar, oppure semplicemente una lode. Non immaginavo certo che quell'attività avrebbe un giorno integrato il mio sacerdozio. «All'epoca non avevo ancora la vocazione religiosa, che si manifestò attorno ai vent'anni, coesistendo con il mio interesse per il palcoscenico. Come mago me la cavo abbastanza bene e, tra i miei estimatori, conto anche colleghi di fama, come Silvan e Raoul Cremona. Sono anch'io convinto che questo genere di esibizione debba far ridere la gente più che stupirla o, peggio, spaventarla. Modestamente, riesco nel mio scopo e mi sento appagato quando un piccolo spettatore, magari ammalato, ritrova la serenità anche soltanto per un attimo. Attraverso i miei spettacoli credo di praticare una vera terapia: il benessere spirituale, come riconoscono i medici, incide positivamente anche su quello fisico e può aiutare perfino nelle guarigioni. Soprattutto i bambini, ch epossiedono una enorme capacità di recupero». Don Silvio ha una conversazione deliziosa nella sua semplicità e ci trasporta in un clima particolare, in cui la sua piccola compagnia teatrale, Maghi senza frontiere, opera veramente una magia, cioè quella di aprirci gli occhi su un mondo migliore, nel quale la generosità e l'altruismo si concretizzano nell'aiuto per chi soffre. Padre, ma dove trova la forza di esibirsi in situazioni disperate? «In questo debbo ringraziare il Signore, che mi sostiene con la sua grazia», spiega Mago Sales. «Il mio lavoro mi consente di raccogliere fondi per aiutare tanti bambini, una certezza che mi spinge a non arrendermi mai e a mascherare il pianto con il sorriso. A volte, però, mi sento smarrito e angosciato di fronte alle tragedie umane di cui sono testimone. In Pakistan, per esempio, nelle famiglie più povere, diventa una drammatica risorsa vendere i figli. Ebbene un giorno, davanti a un ragazzino di otto anni di cui il padre stava trattando la vendita come se fosse un oggetto, scelsi il male minore: lo comprai io, per affidarlo poi a una comunità di suore laiche che lo accolse amorevolmente, provvedendo alla sua educazione. «Un'altra storia indimenticabile è quella di Paolino, un bimbo di sette anni confinato in un lebbrosario in Brasile, dove, nel 1993, portai un mio spettacolo. Mi guardava incantato e alla fine dei miei giochi disse: "Mago, fai un incantesimo per farmi rivedere i miei genitori". L'incontro con questa creatura sfortunata che non implorava la guarigione, ma l'affetto dei suoi cari, mi commosse profondamente. Tornato in Italia, attraverso la mia fondazione, raccolsi i fondi necessari per curarlo e lo seguii fino a quando fui sicuro che la lebbra, grazie alle medicine appropriate, era stata del tutto fermata. Nel programma di recupero dei bambini abbandonati io cerco di non allontanarli dal loro ambiente originario e sono convinto che il mezzo migliore per salvarli sia l'adozione a distanza». Anche quando parla di argomenti penosi don Silvio conserva il sorriso e accetta bonariamente l'inevitabile riferimento a Harry Potter. Si ispira sempre a don Bosco, del quale riporta una frase che riassume in poche parole tutto il suo stile di vita: «Facciamo consistere la santità nello stare molto allegri». Racconta con orgoglio di artista, permeato di toccante umanità, che i suoi spettacoli riscuotono sempre un rande successo e raccolgono incassi consistenti che sostengono le molte missioni salesiane sparse nel mondo. Poi il discorso torna all'incontro con il Papa, alla dolcezza con cui ha accettato l'omaggio della bacchetta magica da quello strano prete prestigiatore che si trova a suo agio tra clown e saltimbanchi. «Non ha commentato la mia attività», ricorda don Silvio, «ma, quando gliene ho parlato, ha allargato le braccia con l'indulgenza di un vero padre. Un gesto caldo quanto un abbraccio, cui è poi seguito l'accoglimento della mia richiesta di nominare don Bosco patrono dei maghi. Ma, intendiamoci, solo quelli che come me praticano la magia bianca, fatta di giochi e allegria». Don Silvio è sempre in movimento e, alla vigilia della partenza per la Palestina, non mostra la minima preoccupazione per i rischi cui va incontro, con lo spirito di un missionario coraggioso. Ma è anche il Mago Sales. E in queste vesti ci mostra il cilindro, il mantello e gli altri strumenti del mestiere confessando: «Tra i tanti bambini che ridono, quello che si diverte di più sono io ...». Quando gli chiedo quale magia metterebbe in atto, se la sua bacchetta avesse veramente dei poteri, conclude: «La userei per ottenere la pace nel mondo e anche per dare buona salute al Papa, di cui abbiamo tutti un gran bisogno. Ma queste cose le chiedo attraverso la preghiera, un mezzo ben più efficace dei miei per fare delle magie».

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