LE 8o FACCE DI ARTURO |
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Famiglia Cristiana Domenica, 16 Ottobre 2005 00:00
Appuntamento per pranzo in trattoria, a Milano. Lui arriva trafelato, auricolare all'orecchio, jeans larghi, T-shirt nera, capelli rasati, a parte l'onnipresente ciuffetto sulla testa che ora, nella frenesia di una giornata intensa, si è scompigliato perdendo la sua tradizionale forma di cono: un segno visibile, per dare un volto riconoscibile all'uomo dai mille volti".
Arturo Brachetti non ha età. Potrebbe essere un ragazzo di 18 anni così come un uomo intorno ai quaranta e oltre. Una stretta di mano, qualche battuta, un'ordinazione al volo, perché il tempo stringe e le prove attendono: il 22 ottobre, a Milano, il più grande artista-trasformista del mondo debutta con il suo spettacolo, L'uomo dai mille volti, che, dopo aver riscosso successo in Europa e nel inondo, debutta ora in Italia con una tournée in varie città. Uno straordinario one man show di magia, colori, teatro in cui Brachetta assume le vesti di 80 personaggi in 100 minuti, passando in un batter d'occhio dai miti hollywoodiani alle atmosfere disneyane. Per Brachetti pasta al pomodoro e insalata, un pasto frugale perché così gli impone la sua professione: niente fumo, dieta ferrea, mezz'ora di nuoto ogni giorno, una vita regolare.
Un lavoro, una missione «Il mio è molto più di un lavoro, è una missione», spiega l'artista, «a essa sacrifico tutto, anche gli affetti. Non ho una relazione stabile, non potrei averla col lavoro che faccio, sempre in giro per il mondo. Il piacere di stare sul palcoscenico è talmente grande che tutto il resto passa in secondo piano».
Alla passione per il teatro e il trasformismo Arturo arrivò da ragazzino, in seminario dai Salesiani a Torino, la sua città. Rivoluzionario fu l'incontro con il Mago Sales, al secolo don Silvio Mantelli: un prete salesiano da tanti anni impegnato nella solidarietà e nella beneficenza, facendo spettacoli di magia e prestigio in giro per il mondo.
«Da piccolo ero molto timido. Don Silvio mi diede le chiavi del magazzino con i trucchi di magia e i costumi, dove cominciai a fare i miei travestimenti. Fu lui a regalarmi un libro sulla vita di Fregoli, il grande trasformista italiano morto nel 1936». A 17 anni Arturo lasciò il seminario: aveva capito che non sarebbe mai diventato prete. «Allora, don Silvio mi disse: l'importante nella vita non è avere la vocazione religiosa. L'importante è avere una vocazione. E se la tua è quella di far sorridere e sognare la gente, allora perseguila».
Col Mago Sales Brachetti è ancora amico: ogni tanto il trasformista partecipa ai suoi spettacoli di beneficenza. Ma con lui in Africa non è mai andato. «Sono ipocondriaco, ho paura di
uscire dal mondo occidentale per paura delle malattie». Con il travestimento Arturo trovò la forza per superare la timidezza di quando era bambino. Eppure, un po' timido lo è ancora: è brillante, simpatico, è un fiume in piena di racconti, ma difficilmente guarda dritto negli occhi di chi lo sta ascoltando. «Sono ancora timido quando devo confrontarmi con i sentimenti veri, con l'amore, le relazioni umane». Ma della sua famiglia parla volentieri: «Ho un fratello e due sorelle. Ho avuto un rapporto conflittuale con mio padre, che è morto, perché non voleva che facessi teatro, lo considerava inutile. Mia madre, invece, è molto orgogliosa di me. Del resto, la figura della mamma è presente nel mio spettacolo, interpretata da Sandra Mondaini».
Esibizioni regali
Brachetti si è esibito per la famiglia reale inglese e all'Eliseo davanti al presidente francese Chirac. Cura la regia degli spettacoli di Aldo, Giovanni e Giacomo. E sogna di approdare a Broadway. Woody Allen, che ha visto il suo spettacolo a Parigi, ne è rimasto entusiasta.
Ma chi è l'Arturo che si cela dietro le maschere del pirandelliano uomo dai mille volti? «L'Arturo più vero è quello in scena. Come la verità di un pittore sta nei suoi quadri e quella di un musicista nelle sue canzoni, la mia verità è sul palcoscenico. L'Arturo quotidiano, banale, di 64 chili, è una realtà che mi dà fastidio, perché mi tira verso la terra».
Invecchiare, questa è la più grande paura di Arturo. La morte no, quella non gli fa paura. Ma il tempo che passa, che trasforma il volto, il corpo, la mente, sì. «L'Arturo della scena non ha età, e speriamo che rimanga eterno, come Totò, come la musica di Beethoven». E aggiunge: «Il mio spettacolo risveglia il bambino che è dentro ognuno di noi, il bisogno di ritornare all'innocenza, che ci spinge a essere curiosi, a metterci in discussione, a inventare. Ecco, Arturo è un eterno bambino, che cerca di mantenere la propria innocenza per sempre».
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