Arturo Brachetti L'uomo dai mille volti |
---|
Specchio Sabato, 20 Maggio 2000 00:00
Ha vinto un molière per il miglior one man show, ma Arturo Brachetti non è mai solo in
scena. I suoi personaggi, lo inseguono, lo moltiplicano, lo clonano all'infinito e dalla
platea è impossibile capire il momento in cui sta per abbandonare un costume e indossarne un altro. È L'homme aux mille visages, l'uomo dai mille volti che da mesi fa il tutto esaurito in una Parigi che ha addirittura dovuto trovargli un teatro più grande. Arturo Brachetti ha cominciato da portiere in un albergo torinese, poi i primi spettacoli di magia, i teatri, le tournée da pienone come Technicolor e Fregoli, ma niente successo. Non quello vero. Almeno non come volto perché in realtà il suo nome ha firmato uno show che si è portato a casa 90.000 biglietti venduti in 45 repliche e 10 milioni di spettatori per ognuna delle quattro serate su Canale 5. Tel chi el telun, lo spettacolo-evento di Aldo Giovanni e Giacomo aveva la sua regia, come già I corti e la gag dello struzzo mimato, primo marchio di risata sicura del terzetto.
Per avere la ribalta Brachetti ha dovuto emigrare, è arrivato a Parigi passando per il Canada. Un percorso tortuoso tracciato dal suo produttore nato in Quebec. «Mi ha portato al festival canadese Juste pour rire, manifestazione che non evoca niente ma ha ospitato miliardari della risata come Jim Carrey e Mr. Bean. Facevo uno spettacolo di 45 minuti cambiandomi continuamente. L'idea è nata lì e abbiamo cominciato a inserire i personaggi dei film». Lo spettacolo ampliato si è trasferito a Montreal dove ha vinto il premio Olivier per poi arrivare a Parigi, teatro Martigny. «All'inizio fu un disastro, faticavamo a far venire le persone accreditate, il deserto. Poi qualcuno per curiosità è arrivato e il passaparola è stato immediato. Mi ha impressionato l'interesse della tv, quando li cercavamo noi si dicevano non interessati e in un attimo abbiamo dovuto selezionare le testate perché c'erano troppe telecamere».
Lo show è un enorme sogno a occhi aperti, Brachetti, in meno di due ore fa sfilare sul palco tutta Hollywood e ritorno. Un ritorno molto vicino, tutto italiano: l'enorme scatolone (5 metri per lato), da cui saettano i vestiti e gli sfondi, si spacca in due per un omaggio felliniano fatto di atmosfere oniriche e grandi tette. «Un omaggio e anche un consiglio, si pensa sempre che i sogni più belli siano molto distanti e spesso li abbiamo a portata di mano. Anch'io parto dai grandi personaggi americani per ritrovare poi un grande di casa nostra, credo il più grande. E poi la scatola usata per i travestimenti si spacca proprio perché nella vita non serve. È l'immaginazione la vera scatola dei desideri e ognuno la possiede dalla nascita».
La sera del premio Molière (l'8 maggio scorso) Brachetti si è seduto tranquillo in platea: «Mi avevano detto che il premio l'aveva vinto un francese (Jean Jaques Vanier con L'envol du pingouin). Era una fonte molto aggiornata e io mi ero messo il cuore in pace. Non me l'aspettavo proprio e quando mi hanno chiamato l'emozione mi ha travolto. Ho dovuto dirlo che non pensavo di ricevere io quella statuetta, mi è servito per prendere fiato. Mi sentivo davvero Arlecchino alla corte di Luigi XIV e immagino cosa avrà pensato il mio regista, Serge Denoncourt: una vita ad allestire grandi classici e ha vinto il Molière con un one man show». Anche Dario Fo ha vinto tre statuette con Morte accidentale di un anarchico, miglior autore, miglior commedia e miglior traduzione a opera di Valeria Tasca. «Molière ha deciso di farsi un viaggio in Italia», ha commentato Brachetti sul palco, ma lui di Italia non ha proprio voglia. Se provi a chiedergli perché non porta questo spettacolo anche qui sbuffa e dice che non ha tempo. Poi ci va giù duro: «In Italia il teatro è in mano a una decina di mummie che detengono il potere e creano un ambiente noioso. Certo sto generalizzando, ci sono cose interessanti che con fatica cercano di emergere come la compagnia di Saverio Marconi con cui ho anche lavorato. Ma in generale non c'è di che stare allegri. Sono molto deluso e lo sono centinaia di colleghi bravi che non trovano spazio. Il problema è che da noi trionfa solo la mediocrità perché quella non da fastidio a nessuno». Sparata che non si esaurisce in una tirata sola: «Per emergere in Italia bisogna essere stranieri o morti, come Totò che è diventato un intoccabile solo quando non c'era più. E poi non capisco questa mania che ha la tv di mostrare sempre quelli che sbagliano. Ok, all'inizio è divertente ma poi che gusto c'è a ridere sulla scarsa professionalità? E quelli bravi, quelli che riescono, loro non hanno diritto a essere visti?».Così niente tournée da queste parti, in Italia è previsto un ritorno solo per qualche progetto come regista, si parlava di Teocoli ma lui, per ora, ha accantonato l'idea di uno spettacolo itinerante, resta l'impegno con Marina Massironi ma i tempi sono ancora da definire. Certo è invece il viaggio in America: «Prima ci vado a registrare una sit-com, Nikki idea di un produttore della Warner che mi ha notato al Drew Carey Show». Sì perché il debutto in prima serata sulla Abc, Brachetti l'ha già fatto, singola ospitata in una popolare sit-com che ruota attorno a un omone occhialuto con la faccia buffa e la sua cricca di improbabili amici (tra cui una drag queen, figura che ultimamente non manca mai). Brachetti è apparso nel ruolo di un giovane che si presenta per un assunzione, proprio nella puntata live, la più seguita.
Ora si prepara a essere uno dei quattro protagonisti di Nikki, nuovo telefilm americano di cui ha già girato la puntata pilota. Anche qui Brachetti farà il suo one man show tra lustrini e pailettes: «La storia gira attorno a una coppia sempre in crisi. Lui è un lottatore di catch, lei fa la ballerina a Las Vegas e io da bravo migliore amico la consolo a colpi di travestimenti».
Contratto per dodici puntate poi si vedrà: «Non voglio legarmi troppo a questo tipo di mercato. Cioè, è bello essere ingaggiati per progetti così importanti, ne sono orgoglioso, ma non è che le sit-com americane mi soddisfino troppo. Sono meglio quelle inglesi come Absolutely Faboulous (in onda anche in Italia sul canale satellitare Canal Jimmy) dissacrante e realmente comica». Ma l'America non vuol dire solo tv, Brachetti ci porterà anche il suo Uomo dai mille volti: «Debutto in Pennsylvania per testare il pubblico. È il posto più ostico, se reggiamo lì possiamo permetterci New York». Con biglietto di ritorno per Parigi ovviamente, al teatro Mogador per riprendere le repliche e rifare il tutto esaurito.
Non è il solo esule di successo. Anche Monica Bellucci in Italia aveva a disposizione solo battute come «Sono Deborah, con la acca» (da I Mitici) e ora, emigrata in Francia, è diventata un'attrice che Variety consiglia di tenere d'occhio e che, proprio nell'anno dell'esclusione italiana, è andata a Cannes con un film americano, Under Suspicion. Forse anche i francesi, come noi, preferiscono gli stranieri.
Giulia Zonca
|