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Capitolo I

CAPITOLO PRIMO

IN PRINCIPIO FU IL MAGO


1944. 22 gennaio, primo giorno del calendario buddista. Nasco sotto il segno dell'Acquario… naturalmente da mia madre. In seguito diranno che mi hanno trovato sotto un cavolo nell'orto chiamato "Ciabot" a Novello, dove mio nonno è sindaco da più di trent'anni. Questa fu la mia prima educazione sessuale… In seguito non ricevetti smentite o aggiornamenti.

1945. Una pattuglia di tedeschi compie una retata per punire il gesto di un partigiano che aveva sparato su un plotone di passaggio. Io vengo preso con mia madre e messo al muro. Mi dissero che non piansi… pensavo che tutto fosse un gioco e sorrisi al tedesco che comandava l'esecuzione. Questo bastò a salvare me, mia mamma e il gruppo ormai rassegnato. Il Signore o forse un gesto di cuore o meglio un disobbedienza stabilì che si doveva e si poteva vivere in pace.

1946. Finisce la guerra. Si parte per Torino. Al paese prendevo il latte da una capra, che travestivano da nonna papera per paura che fosse rubata dai tedeschi o dai partigiani. A Torino, incominciai a mangiare più sofisticato: polenta con contorno di carne di capra. Allora mi sentii molto orfano.

1946. Frequento il primo anno di asilo già all'età di due anni. Era naturale. Condividevo l'affetto di nonni e genitori con mia sorella di nome Daria di un anno più matura di me. Allora quello che andava bene per lei, doveva andare bene anche per me. Mi sembrava di essere un'offerta speciale del supermercato: prendi due e paghi uno. Così già all'età di sei anni venni preparato per fare la prima comunione e la cresima… naturalmente insieme a mia sorella. I miei erano convinti di risparmiare, anche solo sulla fotografia.

1950. Primo giorno di scuola. Non ricordo nulla se non il set di matite colorate marca Carandage, regalate da zia Luigina. La mia vita cominciava a prendere colore. Zia Luigina sembrava rappresentare il modello tipico di una eroina da libro "Cuore". Era maestra e zitella, quanto bastava per essere onorata dai grandi della famiglia e sopportata dai piccoli come me. Infatti la zietta proiettava in me la realizzazione dei suoi sogni infranti di diventare preside o direttrice scolastica. Io invece non pensavo assolutamente di far carriera scolastica, anche se, a differenza di molti miei coetanei, a me piaceva molto "andare a scuola"… Anche "tornare da scuola" piaceva molto… Quello che stava in mezzo, tra l'andare e il tornare, non era di mio gradimento. La scuola sarà sempre per me come una medicina amara… peggio dell'olio di ricino, ma, in seguito, come ogni purgante somministrato al tempo giusto, mi farà molto bene. Ora cerco di salvare i bambini del mondo dalla strada, creando per loro borse di studio. Molti chiamano questo progetto: adozioni a distanza.

Le bocciature furono il mio blasone di ignominia. Ne raccolsi tre e pensai di entrare nel guinnes dei primati. 

Ero molto timido, impacciato, imbranato. Come succede a tutti i ragazzini, mi ero innamorato di una bambina, vicina di casa, ma non mi dichiarai mai. Volevo diventare avvocato, ma in aula… "scolastica" facevo sempre silenzio. Il mio carattere divenne fonte di preoccupazioni, per i miei genitori. Mia madre ricorse alle medicine e alla religione: sciroppi a base di calcio e candele accese a Santa Rita, la santa degli impossibili. Poi una sera, mio papà, ragioniere, mi portò con se ad una seduta di condomino e li imparai tante parolacce. Le ripetei in famiglia e ricevetti un sonoro ceffone. La mia entrata nella società era traumaticamente cessata. Usai l'arma della fantasia per sopravvivere. Questa mi sarà compagna per tutta la vita. Avevo la mia camera dei segreti dove solo io conoscevo la password. 

Siccome mia madre mi diceva sovente: "Sparisci… sparisci!", incomincia a pensare che da grande avrei fatto il mago.

1955. Intraprendo gli studi classici… Allora iniziavano con la prima media. Scuola Giovanni Pascoli di Torino. Studio del latino: "Mens sana in corpore sano". Per me la "sanità" fu solo di corpo, infatti fui bocciato in tutte le materie… eccetto in ginnastica. Questo mi fu utile per scansare i ceffoni dei miei genitori.

Poi… la quiete dopo la tempesta. Il mio destino era segnato. Venni iscritto a suola dai Salesiani. 
Per tre anni tutto andò bene… eccetto la fuga con il circo.

1957. Durante l'estate a Novello, paese dei nonni, materni, venne il circo Camillo: in tutto tre artisti e quattro animali, ma sembravano un cast compiuto. Il proprietario, Camillo era un fachiro: si faceva sotterrare prima dello spettacolo. Poi percorrendo un passaggio sotterraneo, spuntava da dietro le quinte e compariva vestito da clown. Nel secondo tempo, non potendo fare la danza del ventre, per ovvi motivi, si travestiva da cosacco e faceva il domatore di capre. Al termine dello spettacolo si tuffava nuovamente nel passaggio segreto e veniva dissotterrato tra gli applausi del pubblico. Un successo. Dopo due giorni, quando il circo lasciò il paese. Mi nascosi nel carrozzone con un'ansia di libertà mai provata prima. Il sogno durò poco. Camillo era un brav'uomo, non un negriero. Dopo due ore ero nuovamente a casa dai nonni e nessuno, per anni, seppe mai nulla della mia prima scappatella.

1957. Nasce il mago "Mandrake". Così mi chiamai, quando allestii il mio primo spettacolo di magia. Mi ero preparato accuratamente. Avevo preso in prestito un vecchio piviale dalla sagrestia del paese e mi ero messo in capo un logoro copricapo berbero, trovato in soffitta, insieme alle spallina da caporale di zio Giacomo. La prima prova fu davanti al grande specchio della camera da letto dei miei genitori. Allora mi sembrava di essere grande… Ora, che grande lo sono, continuo a fare gli stessi giochi e mi sembra di essere piccolo.

Ma veniamo alla mia prima. 

Se, giustamente si dice che chi ben comincia è a metà dell'opera, io penso di non aver mai visto la mia prima opera… Anzi non la vide proprio nessuno. Il pubblico fu completamente assente al mio debutto. Mi consolai pensando di averlo fatto sparire… e mi convinsi di avere dei poteri. 

Nello stesso anno venne ad abitare nel nostro condominio a Torino, Francesco Corradi, n taxista che scriveva poesie, suonava la chitarra e faceva giochi di prestigio con le carte. Diventammo subito amici e mi trasmise la sua passione per il gioco dello scopone, insegnandomi alcuni basilari trucchi con le carte. In poche parole mi insegnò a barare. Facevamo coppia fissa nei vari retro bar del quartiere. La vincita era a volte la sola consumazione, ma la gioia di riuscire primi era di gran lunga superiore alla soddisfazione dei pochi spiccioli guadagnati. Di pari valore era la delusione dei perdenti che non riuscivano a capacitarsi come un pivello diadolescente c come me potesse risultare sempre vincente al re dei giochi di carte: lo scopone scientifico. Questo carosello di avversi sentimenti sarebbe durato a lungo se, per il troppo zelo, un giorno non feci apparire non uno, ma tre sette belli.
Era evidente che si barava. Ancora una volta la fuga fu la nostra salvezza… o meglio la mia.

Francesco, non più fresco negli anni e nei riflessi, fu preso e venne costretto a ingoiare un set completo di denari dall'asso al re. Era però un mago e sbalordì tutti perché riuscì a fagocitare dalla bocca un servizio di primiera, escluso il sette bello. Quello disse che lo avrebbe prodotto il giorno dopo e… non vi riferisco come…

1959. Termino il triennio dai salesiani all'istituto San Paolo di Torino. Terza media: promosso a giugno… Un avvenimento da celebrare. Ricevetti due premi: una bicicletta e l'iscrizione al primo anno del ginnasio al top delle scuole di Torino: il liceo classico di Valsalice, sempre dei Salesiani. Capii che, in entrambi i regali, avrei dovuto faticare. La mia vita da adolescente maturo si presentava in ascesa ma non era attrezzata con impianti di risalita.

A scuola, alla fatica del latino, si aggiunse quella del greco; un'altra lingua morta ed io ne divenni il killer. Nel primo compito in classe presi un voto che sfiorava le centinaia: 54 sotto zero. Il professore mi disse che avevo assassinato il greco e il latino.

A nulla valse prendere ripetizioni quattro volte la settimana Avrei fatto meglio a iscrivermi ad un corso per sopravvivenza o meglio "indifferenza" ai consigli dei miei professori. Mi dissero che non avrei mai combinato nulla di buono nella vita, che ero il disonore di quella scuola benemerita… che non trattenevo nulla di quello che mi veniva insegnato. 

Anticipando un principio di quello che sarà la società dei consumi, incominciai ad avere il complesso del "vuoto a perdere". Pensai al suicidio e volevo farlo in modo "colossal" non certo banale. Ma prima ero deciso a far vedere a tutti gli uccellacci del malaugurio che nella vita ognuno è importante e ha il diritto di esserlo. 
 
In seguito capii che a guidare quel periodo buio della mia esistenza non erano le avversità, tanto meno le incapacità e il mio giusto orgoglio di essere importante, ma una seconda esistenza che stava nascendo dentro di me senza stipulare contratti di locazione, senza sfrattare il Silvio pigro, fantasioso, incapace, insicuro, un po' sensuale e molto bambino. Questa nuova presenza non era frutto della mia fantasia. Era reale, come gli scapaccioni di papà, come le lacrime di mia madre, e veniva a cambiare, meglio a salvare la mia vita. Da sempre il buon Dio vegliava su di me, ma non me ne ero mai accorto, perché pensavo di avere tutto: salute, amici, affetto… Poi più nulla e mi sentii solo… solo di Te: felicissimo vuoto… nulla pieno di tutto… pieno di Te e imparai ad essere paziente secondo l'insegnamento del nonno che mi diceva: "Tutto passa, eccetto l'autobus che stai aspettando per andare al lavoro". 

Così quel brutto anno passò e io raccolsi la mia seconda bocciatura e passarono due anni senza storia… tra arcobaleni nascosti e cieli bui, terre sommerse e oceani profondi, tiepidi mattini e sere d'inverno. Mi rinchiusi al mio presente in un stanza mia e ne divenni padrone, nascondendo le entrate. 

E tu bussasti alla porta, viandante, ospite senza fretta; mio destino, mia vita, mio tutto mio Dio.

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