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IL CONVEGNO DI GOVONE ORGANIZZATO DA "ONDALUNGA" E "VITA PASTORALE" PER IMPARARE A COMUNICARE MEGLIO LA PAROLA

Martedì 15 giugno 2010

 

Il convegno di Govone organizzato da "Ondalunga" e "Vita Pastorale" per imparare a comunicare meglio la Parola

 

­«Denunciare per comunicare il Vangelo». Non ha dubbi don Stefano Giaquinto, diretto, schietto, appassionato; un prete, un parroco che tutti i giorni vive la sua fede accanto alla gente. Una vicinanza che gli è costata cara, nella sua terra. A Caserta, nel suo quartiere stare dalla parte di chi è più emarginato, denunciare i soprusi significa vi­vere pericolosamente. Lui non si abbatte, no­nostante le botte che lo hanno portato in ospe­dale, nonostante le minacce a lui e alla sua fa­miglia, nonostante l'auto distrutta. Perché è convinto che non si può testimoniare il Vange­lo senza denunciare cosa accade, ogni giorno, nel mezzogiorno. Rammaricato ricorda che sono passati 16 anni dall'uccisione di don Dia­na e in troppi lo hanno dimenticato.
Don Stefano ha aperto l'originale e ben or­ganizzato convegno dedicato «a tutti i sacer­doti che vogliono arrivare al cuore della gen­te» venerdì 4 giugno al castello di Govone. Un appuntamento sulla comunicazione promos­so dall'associazione Ondalunga e da Vita Pa­storale, il mensile che va a tutti i vescovi e par­roci d'Italia. Un'iniziativa giunta con succes­so alla sesta edizione e che coinvolge un pub­blico sempre più vasto tra preti, religiose, lai­ci convinti che si può imparare a comunicare meglio. Aprendo i lavori, mons. Luciano Paco­mio, vescovo delegato per le comunicazioni sociali della Cep, ha sottolineato il valore di comunicare la gioia. «Vogliamo donare la spe­ranza», ha detto. Citando San Paolo e vari bra­ni della Bibbia ha introdotto al tema della giornata; dopo di lui mons. Sebastiano Dho, vescovo di Alba, ha rivolto a tutti il benvenu­to nella «sua Diocesi». E poi il via alle testimo­nianze, particolarità di questo convegno che si sviluppa non sulla teoria, ma sulla pratica. Offrendo l'opportunità di incontrare uomini e donne «carismatici». Don Stefano è stato il primo a intervenire. Ha esordito affermando che la «nostra vera parrocchia è la strada, è li che si gioca la salvezza. Il Cristo lo vedo negli occhi di Ciro, morto per overdose da solo in campagna. All'obitorio, davanti al suo cadave­re, mi sono chiesto: "Ma che prete sono io?"». Raccontando la sua giornata, ha esortato a non stare accanto a chi vuole essere sempre al centro, ha chiesto meno parole e più fatti. A Pasqua ha scritto una lettera ai camorristi in carcere, in poco tempo gli sono arrivate tantis­sime risposte. E poi ha invitato ad avere coraggio, a spalancare le porte delle chiese, tutti i giorni, anche la sera.
Come diventa realtà la Parola? A chiederse­lo è stato un altro prete, don Antonio Mazzi, che ha portato la sua personale esperienza di fede: «Io non voglio salvare gli altri e perdere me stesso». Con l'ausilio di tre parabole - fi­gliol prodigo, buon samaritano e discepoli di Emmaus - ha riletto la sua storia, il suo desi­derio di essere «relazione incarnata», perché le «persone si salvano a vicenda attraverso la relazione». E poi sul palco è scesa la magia, at­traverso la sempre straordinaria interpreta­zione di Mago Sales, alias don Silvio Mantelli, salesiano. «Non dobbiamo mai rinunciare a vivere ogni giorno come un giorno nuovo. Es­sere prete non è una professione, ma una voca­zione», e lui la vive attraverso la gioia che do­na (e insegna) ai bambini che accorrono per vedere i suoi giochi di prestigio. Una missione che aiuta chi lo guarda a non avere paura, e a non prendersi troppo sul serio. Ha concluso Fabrizio Pirovano, esperto in comunicazione che con l'aiuto di filmati e fotografie ha aiuta­to a riflettere su che cosa è il carisma: «Colui che ha il coraggio di uscire alla scoperto».
Chiara Genisio

 

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