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Capitolo III

CAPITOLO TERZO

… E FU PRETE MAGO cioè prete per vocazione e mago per passione

VITA DI COLLEGIO


2 settembre 1973 - sera.
 In quel giorno furono in molti a dirmi che avevo fatto la scelta migliore. 
Ancora oggi mi chiedo perché, se tanti apprezzano questo bene, sono poi in pochi a volerlo cogliere! In realtà sapevo benissimo di non essere stato io a scegliere. L'amore del Padre mi aveva scelto e chissà perché, tra i tanti, ero stato selezionato proprio io e questo me lo chiedo ancora adesso.

Di fronte a questo dubbio terminava una giornata piena di amici e di fede e mi trovai solo… con i miei genitori, mia sorella… ancora da sposare e con 12 sveglie, 8 penne stilografiche tipo lusso, 4 copie delle lettere di san Paolo in elegante brossura rossa… e un salame di stagione con un bottiglia di barolo del 68, donatomi da un povero prete di campagna… l'unico a intendersi in fatto di regali.

Siccome viviamo una vita sola e, se le bottiglie non le sturiamo noi, ci penseranno altri a vuotarle, aprii la bottiglia di barolo e brindai alla nuova vita: mezzanotte tre quarti del giorno dopo.

Dopo due giorni ero a Saluzzo, all'oratorio di via Donaudi, dove resterò per un anno intero, il mio primo anno di messa.

1973 - 74. Settembre, ottobre, novembre… i mesi scorrevano veloci, come i grani di un rosario arabo e in quei giorni di tiepido autunno io raccoglievo i primi frutti di una vita attesa e sperata: la mia vita di giovane prete salesiano… per i giovani… ma soprattutto con i giovani.

Immaginate uno spazio tra due porticati, una chiesa e un muro di cinta, vuoto e immobile al mattino ma pieno e in rapido movimento nel pomeriggio e nei giorni di festa. Il cortile sembrava muoversi e ondeggiare come una chiatta sull'acqua, ma era solo un impressione, perché l'animazione e il movimento non scaturiva dal suolo, ma dal correre gioioso dei bambini e dei ragazzi ed erano centinaia e in quel turbinio in festa io ringraziavo il buon Dio e don Bosco per avermi scelto. Sarà la mia preghiera, il mio canto, la mia liturgia, la mia magia.

Naturalmente non avevo la vocazione da mistico… Così trovavo anche il tempo per costruire e sperimentare nuovi trucchi. Riuscii anche a creare un nuovo circolo di magia tra i ragazzi dell'oratorio.

Tutto si completerà in una spettacolo e mini festival della magia nel teatrino dell'oratorio. Per la propaganda ebbi un'idea grandiosa. Mio amico era un contadino della parrocchia di nome Battista, il quale aveva un buon numero di mucche nella stalla. Presto fatto; di notte mi diedi alla pittura e al bricolage. Confezionai tanti cartelloni pubblicitari, li legai due a due e al mattino li indossai sui fianchi delle mucche del mio amico Battista. Avevo creato le prime mucche sandwich. Tutto era pronto per la grande parata. Così, al sabato pomeriggio, i Saluzzesi che avevano programmato la consueta passeggiata sotto i portici di Corso Piemonte, furono costretti a condividere questa loro scelta con quella, meno liberatoria, delle mucche sponsor di Battista.

Immaginate la scena: le risate dei buontemponi, le arrabbiature dei soliti musoni, le lamentele dei commercianti e le multe dei vigili e del dipendente SIAE, anche perché una mucca ebbe la cattiva idea di entrare proprio nell'ufficio della SIAE e lasciare come ricordo non certo un volantino di propaganda. 

La serata però fu un successo strepitoso, soprattutto di pubblico.

Inversamente le mia azioni e credenziali presso il direttore e parroco dell'istituto, cominciarono a vacillare.

A dare il colpo di grazia fu un fatto di ordinaria "amministrazione", o, meglio "costruzione". 

Essendo io l'ultimo arrivato nella comunità religiosa di Saluzzo, non trovai più un locale disponibile per un mio piccolo ufficio, che poi sarebbe diventato l'antro segreto del mago. Così aspettai che il parroco, don…, santa persona e ora, di beata memoria, fosse assente per la consueta gita parrocchiale all'ennesimo santuario mariano, per costruirmi il mio luogo segreto. Nel giro di un mattina eressi nel corridoio degli uffici, proprio vicino a quello del parroco, un vero e proprio muro di cinta. 

Ora avevo il mio ufficio… un po' stretto, ma discretamente lungo per sistemare tutti i miei trucchi di mago. Disgrazia volle che il corridoio terminasse con una porticina che era l'ingresso di un servizio igienico… quello del parroco, trasformato, col tempo, in archivio parrocchiale. Bene… uno spazio in più… pensai! Così, con grande fervore, nel pomeriggio, aiutato da alcuni ragazzi dell'oratorio svuotai quel locale e feci un grandioso falò di tutti i documenti.

L'avevo fatta grossa.

Il locale mi servirà a ben poco, in quanto a settembre… tempo di vendemmia, io raccolsi il mio primo invito a festeggiare altrove il mio entusiasmo giovanile e, ancora una volta fui messo in collegio.

1974 - 1981. Vita di collegio: Cuneo Convitto in Via "Cacciatori delle Alpi", angolo "Lungo Gesso". 
Con l' aiuto di un compare o di una scaletta, qualche burlone aveva leggermente corretto le indicazioni sui nomi delle vie, in modo che ognuno poteva leggere: via "Caccatori delle Alpi", "Lungo Cesso". Nonostante le allusioni, quel collegio salesiano non era affatto un locale che… abitualmente si trova al fondo di ogni corridoio. Al contrario era un luogo di gioia e di rapporti umani fantastico ed io trascorsi, penso, gli anni più ricchi della mia vita. Ancora oggi, quando incontro un giovane ex allievo, assaporo, con nostalgia, il bel tempo passato e il bel ricordo è sempre reciproco.

Intanto mi iscrissi al primo anno di Università, a "Palazzo Nuovo", in Torino; facoltà di magistero… indirizzo sociologico. Erano gli anni ruggenti post contestazione giovanile… gli anni delle grandi rivendicazioni sociali, della lotta delle Brigate Rosse. Anch'io avevo una battaglia da combattere…

Solo molto più tardi capii che non era contro la società, ma contro me stesso. Comunque, dopo 10 anni discussi la mia seconda laurea: Pedagogia, ottenendo un discreto punteggio: 100 su 110. Appesi, con ostentazione, la laurea al muro della mia cameretta. Dopo un anno, non avevo tolto nemmeno la polvere, La staccai e la depositai chissà dove. Ora, il ricordo non mi crea certo nostalgia… Tutto passa, eccetto l'autobus che stai aspettano per andare al lavoro.

1980. Con alcuni miei amici, creai il Circolo Magico Cuneese. Gli amici maghi erano Bonomessi Giuseppe, Allochis Renzo, Alberto Claudio, Anselma Domenico, Enrici Cesare. 

I circoli magici sono un po' come le musiche andine o i canti tibetani: monotoni e ripetitivi. Immaginate di accettare l'invito a cena di un lontano parente di vostra moglie, appena tornato da un viaggio in Thailandia, il quale, dopo avervi fatto gustare un discutibile infuso acquistato mediante il commercio equo e solidale, vi propini ben 721 diapositive del suo ultimo viaggio in Asia… e voi, martire delle circostanza, vi accorgete che a nulla serva maledire, in segreto, parentele e amicizie….

Così sono oggi i circoli di appassionati apprendisti stregoni. Servono solo ai padroni di casa (presidenti)… veri feudatari sempre in lotta tra di loro… e quindi, ora, non voglio parlarvi di questo mio peccato di sorpassata giovinezza.

Piuttosto voglio parlarvi di un mio incontro con un ragazzo smilzo, timido e pallidoccio, avvenuto in un anno particolare di quella che io chiamo: "non più chiara giovinezza"…. Insomma in un periodo di tempo fuori del tempo, proprio perché il personaggio che incontrai era ed è un "essere fuori del tempo". Mi ricordo soltanto che ero stato mandato dai miei superiori per organizzare un centro estivo nella colonia salesiana di Gressoney. I ragazzi., provenienti dai vari istituti salesiani, avevano tutti terminato la terza media, e dichiaravano di voler studiare da prete. Tra i tanti (ben 35), c'era anche quel ragazzino, proveniente dal collegio salesiano di Lanzo torinese: Arturo Brachetti, oggi star del grande varietà mondiale. Ancora prete?… in realtà Arturo studierà solo un anno per conoscere la sua vera vocazione… L'importante non è essere quello che siamo per gli altri, ma quello che sentiamo di essere dentro di noi… Questa è la vocazione. Arturo non è mai diventato sacerdote, perché quello era il desiderio di suo padre o di sua zia. In compenso è sempre stato un bambino e lo è ancora oggi… un bambino spontaneo, non capriccioso, cocco di mamma, ma ridente e generoso che continua a giocare con la propria vita e fantasia. 

Questo è quello che Arturo Brachetti dice ora del suo primo maestro: don Silvio Mantelli, il mago Sales: 

"Ci sono degli incontri nelle nostre vite, per cui poi noi diventiamo quello che sognavamo di essere. Questa è la magia che ha fatto Sales per me.

Ma oggi lui è molto di più per me e per tutti. Anche senza trucchi nè costumi, Sales porta la vera magia, quella della vita a coloro che hanno solo la propria sopravvivenza da difendere.
Grazie Sales per essere ancora quel "ragazzo" piene di idee, di risorse e di ideali che mi hai insegnato a perseguire.

Grazie per avermi insegnato che non esistono montagne invalicabili..."

1981. Giù dai colli… verso la città di don Bosco: Torino - Valdocco: Casa madre.

A volte far carriera equivale a una grande fregatura e così avvenne per me.

Mi dissero che sarei andato a stare meglio, che l'incarico che mi veniva offerto era di tutto riguardo. Dalla compagna di Cuneo, andavo verso la grande città: Torino e proprio a Valdocco, la prima opera creata da questo grande incosciente e fantastico santo: don Bosco. 

Purtroppo le cose non andarono così e, se la vita è come una medaglia con il dritto e il rovescio, io incominciai a sperimentarne il rovescio, e il profumo di un tempo svanì e fu sostituito dall'odore e… non vi dico di cosa. 

Le decisioni non avvengono mai a caso e questa mia nuova obbedienza fu originata anche da alcuni fatti che avvennero tra me e l'allora direttore del convitto civico salesiano di Cuneo.
L'origine di tutto fu, come sempre, la magia o, meglio, il mio essere prete e mago. Come ho già accennato precedentemente, la realtà di un prete che fa anche il mago e quindi crea, attorno a se un alone di notorietà, non è sempre stata accettata da tutti i miei superiori e don…. ne fu un esemplare perfetto. 

Il fatto di leggere la mia "contenuta" fama "locale" dai giornali o il sentir parlare continuamente delle mie imprese da tutti coloro che frequentavano il Convitto, non gli andava proprio giù. Lui era pur sempre il Direttore e, per ruolo, doveva essere il più importante di tutti. 
Questa che io chiamo: "malattia da vassallaggio" era ed è anche dovuta al fatto che non è assolutamente facile essere direttori religiosi e i pochi che ne hanno le capacità, a volte non hanno il coraggio di esserlo e rifiutano l'incarico. Così io fui vittima di un ennesimo Papa Celestino V che fece il gran rifiuto. 

I contrasti si accentuavano quando, a proibizioni di uscire dal convento per fare spettacoli, io rispondevo con artificiosi sotterfugi da abile mago: tipo uscire dal collegio con un grande sacco dell'immondizia, in cui avevo riposto i miei giochi da spettacolo e salire sulla macchina di un amico che mi conduceva dove ero atteso per l'intrattenimento. Il rientro era sempre a notte fonda, quando tutti dormivano. 

In quel tempo, per nascondere la mia identità di artista, avevo iniziato a far uso di maschere, creando nuovi personaggi. Allora ero Mandruga, la strega che toglie la ruga, il pagliaccio Sbrendola, il mago cinese "A me li oci", l'imbonitore ciarlatano, professor Marmittoni, il fantasma con l'asma, e tanti altri ancora. Il teatro è sempre stato un terreno di illimitata creatività ed io ne sperimentavo le enormi potenzialità. Naturalmente, dietro tutto ciò, c'era un grande regista: Arturo Brachetti, che, dopo pochi anni diventerà il più creativo trasformista del mondo. 

Tutto bene, anzi benissimo… fino alla notte in cui, rientrando dopo l'ennesimo travestimento, trovai che la chiave non entrava più nella serratura del grande portone del collegio. Qualcuno… e pensate chi! aveva cambiato il nottolino e, non certo, per farmi uno scherzo. Non mi restava che scavalcare il muro di cinta. Guardai attorno a me che non ci fosse nessuno e mi accinsi a scalare il muro, salendo su un'auto li posteggiata. Ero ormai sulla sommità, quando un faro da 5.000 Wat mi investì in pieno e una voce mi intimò l'altolà. Era una pattuglia della Polizia ed io fui scambiato per un ladro. Mi portarono in caserma e… ancora una volta finii sui giornali. 

Questo fatto non giovò molto alla salute del mio direttore, ma, purtroppo, non era che l'inizio ed io non ne fui cosciente che al termine dell'estate, quando ebbi con lui l'ennesimo incontro-scontro. 
Intanto le serrature continuavano a essere cambiate. Così io cominciai a studiare e praticare le arti di scassinatore che furono del mago Houdinì e non ebbi più problemi a varcare ogni soglia, servendomi di improvvisati chiavistelli. Entravo nel collegio, senza far rumore, recandomi poi furtivamente nella mia cameretta per dormire quelle poche ore che mi separavano dalla sveglia comunitaria per la recita delle lodi.

In una di queste mie entrate notturne, prima di arrivare alla porta della mia cameretta, mi incontrai nel corridoio con un mio confratello che si svegliava sempre alle quattro del mattino. Era un salesiano molto anziano, ex missionario dell'India, che non aveva mai rinunciato ai suoi orari di un tempo. Per non dare troppe spiegazioni, invece di infilarmi nella mia cameretta, mi diressi con lui verso le stanze da bagno per darmi una rinfrescata. Così non ci furono domande, anzi ricevetti una nota di plauso per il fatto che anch'io avevo preso la giusta decisione di svegliarmi presto.

Non così fu il parere del direttore che incontrai lungo il corridoio, appostato proprio davanti alla mia cameretta. Era stato sveglio tutta la notte ed aveva covato ansia e altri sentimenti… non certo giovevoli alla salute del suo cuore de tempo malato. 

Oltre a chiedermi dove ero stato, volle sapere come avevo fatto ad entrare dalla porta principale. Non trovai una spiegazione plausibile e dissi che avevo dei poteri e, essendo mago, non c'erano barriere capaci a resistermi.

Io pensavo di mettere la discussione sul ridicolo e di scaricare così la tensione che si era creata… Invece ben altra fu l'interpretazione che ne diede il Direttore. Incominciò ad aprire la bocca, forse per inviare chissà quale anatema nei miei confronti, ma non riuscì che a balbettare poche sillabe incomprensibili. Si accasciò al suolo con il braccio teso verso di me. Questo mi diede l'occasione per una presa stupenda. Lo afferrai per il braccio e lo trascinai velocemente verso la macchina, che, fortunatamente si trovava in strada. Lo portai al pronto soccorso e fu salvo.

Non io. Una settimana dopo ero in viaggio verso Torino, dove mi attendevano nuovi incarichi.
Si chiudeva il sipario del primo atto della mia vita di prete e, dietro le quinte, maturavo nostalgia e timori. Mi accorgevo che la vita continua, ma volevo fermare il tempo.

Una giornata così
di tiepida estate e di fine vacanza.
Sfumature di colori,
odore di muschio,
prime nebbie
nel mattino che sale,
tra il vagare di ricordi 
e l'attesa di un giorno nuovo.
Edulcorata nostalgia,
quasi preghiera.


Desiderio di nuovo
Voglia di pace
Ribellione di ipocrisie,
… e quello che sai è solo
quello che non vuoi più essere:
un contabile di pregi,
un benestante,
un dispensatore di consigli,
un adulto rassegnato,
un idealista,
un cristiano praticante,
… un prete di privilegi.

E il reale si perde nel sogno…
e vorresti rotolarti in un prato
e sentire l'odore caldo della conserva
tra la vendemmia e la pulitura delle pannocchie,
sull'aia di nonna Matilde.
e ti senti felice,
libero,
nella gioia di allora…
bambino di un tempo…

Come Pietro a cui ora
hanno messo in testa tre corone,
ma ancora sogna una barca 
sul suo lago di Tiberiade;
o don Bosco a cui
hanno dato un ufficio e tanti segretari,
ma ripensa ad un prato
con una corda tesa 
tra i due meli dei Becchi.

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